Non
ho apprezzato Matteo Renzi
per la sua visione del partito e per come non lo considera. Non
parla con gli uomini del suo partito figuriamoci se ascolta la
gente.
Un uomo solo al governo non può essere considerato
democratico anche se gli riconosco capacità e condivido, a volte,
quel suo decisionismo, visto che una buona parte dei parlamentari
sono nominati e spesso impegnati a difendere la loro posizione.
Mi chiedo: ma perché la sua nuova legge
elettorale propone la stessa cosa?
Renzi fa un uso intenso
della rete, utilissima per la mole di informazioni che si può
inviare ma, nel sito "passo dopo passo" tutte la informazioni
sono date senza la giusta misura delle modalità e coperture
finanziarie.
La riforma del lavoro, seppure si ripeta in continuazione: "stesse tutele per tutti", non si dice con chiarezza quante e quali tutele e soprattutto le coperture finanziarie.
In pratica l'unica cosa certa è l'abolizione di diritti contenuti nell'art. 18. Così non si danno tutele ai giovani e disoccupati e tantomeno lavoro.
Gabriele Ruggieri
Un uomo solo al comando di Gianfranco Pasquino.
Articolo comparso su "Il Centro" quotidiano dell'Abruzzo il primo Ottobre 2014.
L'autore, molto pacatamente esprime la tendenza del Presidente Renzi a governare sfidando tutto e tutti forse anche la democrazia.
Dall'articolo emerge anche la preoccupazione per il fallimento di questo modo di governare, cosa non auspicabile visti i nostri gravi problemi. Preoccupazione da me ampiamente condivisa.
Riporto alcuni punti dell'articolo, che io ritengo particolarmente significativi per una riflessione.
1)........ma un partito non dovrebbe neppure essere una caserma, con la Corte marziale (ovvero la non-ricandidatura minacciata nel caso dei parlamentari reclutati da Bersani) evocata per ottenere disciplina assoluta.
2).........Renzi ha fatto un puntiglioso elenco di riforme iniziate, due solo concluse, ma soprattutto ha voluto schiacciare la minoranza.
3)..........c’è molto poco da ridere quando l’opposizione viene confinata in un angolo, schiacciata e accusata di vivere di «memoria senza speranza» che è solo «nostalgia, polvere e cenere». Valorizzare le idee, gli apporti, i contributi, le critiche dell’opposizione è, da sempre, la qualità migliore dei leader democratici. Emarginare l’opposizione, in qualsiasi bocciofila e, a maggior ragione, in un partito è un’operazione nient’affatto democratica e ancor meno positiva per il partito e per le sue riforme. Questo è, dunque, il punto forse dolente, sicuramente delicato.
4)..........Sembra che il messaggio che Renzi intende mandare non soltanto ai suoi oppositori nel Pd, ma ai non meglio identificati poteri forti sia soprattutto che lui comanda al partito e decide le riforme che imporrà poi ai suoi parlamentari.
5)..........Resta da vedere se le riforme lo seguono davvero e producono gli effetti sperati, non sempre chiaramente delineati. Se quegli effetti non seguono, la colpa non sarà dei tecnocrati, disprezzati dal presidente del Consiglio, ma della sua politica e dei politici al governo.
di Gianfranco Pasquini. ARTICOLO integrale
La linea del Partito democratico, Matteo Renzi, sulla riforma dell’art.18, è stata, non sorprendentemente, approvata a larghissima maggioranza dalla direzione del partito. Ancora una volta la minoranza ha perso in maniera piuttosto netta, per di più vedendo alcuni suoi esponenti rifugiarsi nell’astensione o, addirittura, convergere sulla relazione del segretario. Non è ancora detto che quanto deciso in direzione passerà rapidamente in entrambi i rami dal Parlamento, ma nel suo sintetico intervento la vice-segretaria Serracchiani ha detto chiaro e tondo che quanto approvato impegna tutti i dirigenti del partito e i parlamentari, che è anche la posizione, un po’ discutibile, di Renzi. Vero che un partito non è una bocciofila, forse non l’associazione più adatta a essere presa come termine di paragone, ma un partito non dovrebbe neppure essere una caserma, con la Corte marziale (ovvero la non-ricandidatbura minacciata nel caso dei parlamentari reclutati da Bersani) evocata per ottenere disciplina assoluta.
La direzione di lunedì è servita a Renzi sia per definire con maggiore precisione e con piccole inattese modifiche la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali sia, soprattutto, per mostrare a tutti, ma proprio tutti, che il suo controllo sul partito è fortissimo. Sottoposto a critiche dal direttore del Corriere della Sera, che certamente non scrive mai soltanto a titolo personale, dalla Conferenza episcopale italiana, da alcuni industriali, oltre che, naturalmente, dai sindacati, nient’affatto riverito a livello europeo dove aspettano che il suo programma, garbatamente definito “ambizioso”, si traduca in riforme visibili, Renzi ha fatto un puntiglioso elenco di riforme iniziate, due solo concluse, ma soprattutto ha voluto schiacciare la minoranza. Il metodo suo e dei suoi più stretti collaboratori non è quello definito da Bersani “metodo Boffo”, ovvero fatto di attacchi di delegittimazione personale. Sicuramente, non è neanche “buffo”, come lo ha etichettato Renzi nella sua replica. Infatti, c’è molto poco da ridere quando l’opposizione viene confinata in un angolo, schiacciata e accusata di vivere di «memoria senza speranza» che è solo «nostalgia, polvere e cenere». Valorizzare le idee, gli apporti, i contributi, le critiche dell’opposizione è, da sempre, la qualità migliore dei leader democratici.
Emarginare l’opposizione, in qualsiasi bocciofila e, a maggior ragione, in un partito è un’operazione nient’affatto democratica e ancor meno positiva per il partito e per le sue riforme. Questo è, dunque, il punto forse dolente, sicuramente delicato. Le riforme - l’art.18 è soltanto il più recente esempio, ma nessuno può avere dimenticato quello che è successo in occasione della trasformazione (non abolizione) in prima lettura del Senato, e può sottovalutare quello che avverrà quando la legge elettorale arriverà per l’appunto in Senato (con le molte prevedibili variazioni da introdurvi) - si fanno più incisivamente, più rapidamente, più efficacemente dimostrando l’irrilevanza del 25 per cento circa dei componenti del partito e di molti parlamentari democratici?
Sembra che il messaggio che Renzi intende mandare non soltanto ai suoi oppositori nel Pd, ma ai non meglio identificati poteri forti sia soprattutto che lui comanda al partito e decide le riforme che imporrà poi ai suoi parlamentari. Anche senza entrare nella critica puntuale all’adeguatezza e alla qualità delle riforme, è giusto chiedersi se la strategia dell’imposizione giovi non soltanto alla possibilità di approvazione parlamentare di quelle riforme, ma anche alla loro traduzione sociale ed economica. Con il sostegno, oramai davvero esplicito, del presidente della Repubblica, come certificato da alcuni giornalisti che ottengono notizie direttamente dal Quirinale, Renzi va avanti.
Resta da vedere se le riforme lo seguono davvero e producono gli effetti sperati, non sempre chiaramente delineati. Se quegli effetti non seguono, la colpa non sarà dei tecnocrati, disprezzati dal presidente del Consiglio, ma della sua politica e dei politici al governo.
01 ottobre 2014
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